Da Repubblica.it (12-9-05). Le nostre tasse e il valore di Bankitalia

in Articoli e studi
Le nostre tasse e il valore di Bankitalia MARCO PANARA E’ strano in effetti che la Banca d’Italia sia di proprietà di privati, e ancora più strano è che sia di proprietà delle banche sulle quali l’istituto centrale ha il compito di vigilare. Talmente strano che la legge prevede il contrario, e cioè che il capitale della Banca d’Italia sia posseduto esclusivamente da soggetti pubblici. Da tempo quindi la proprietà dell’istituto centrale è fuori legge, e come per tante altre cose che sono fuori legge ma fanno comodo, nessuno se ne preoccupava. All’improvviso ce ne preoccupiamo, scoprendo che c’è un conflitto di interessi perché a possedere la Banca d’Italia sono i suoi vigilati. L’urgenza nascerebbe dal fatto che i comportamenti recenti del Governatore hanno dimostrato agli occhi del mondo che la governance dell’istituto non funziona come dovrebbe, e da questo si è fatto derivare che c’è un problema di proprietà. In realtà il problema di proprietà c’è, ma con la governance non c’entra niente per la semplice ragione che le banche proprietarie del capitale di Banca d’Italia non hanno nessuna voce in capitolo su quello che succede dentro l’istituto. Se anche l’avessero, abbiamo la certezza storica che non l’hanno mai usata. Possiamo semmai supporre che se il conflitto d’interessi può avere in qualche modo funzionato è stato nel consigliare i portatori di quote a stare zitti anche quando avrebbero avuto qualcosa da dire, perché il potere del Governatore su di loro è infinitamente superiore a quello (ipotetico) loro sul Governatore. segue a pagina 2 Tuttavia il problema della proprietà c’è e prima o poi si dovrà risolverlo. Come? La risposta è ovvia, con il passaggio delle quote possedute dalle banche a soggetti pubblici, in ottemperanza a quanto già prevede la legge. Il problema di cui si sta discutendo è quanto valgano quelle quote, che non corrispondono alla proprietà di un bene negoziabile bensì di una istituzione. Nulla, verrebbe da dire, ma pare che nulla sia troppo poco, perché quelle quote fanno parte del patrimonio di banche che erano pubbliche e che al momento della privatizzazione sono state acquistate pagando un prezzo che teneva conto del patrimonio, tra le cui componenti c’era anche la partecipazione al capitale di Banca d’Italia. Allora quanto? Non essendo un bene negoziabile il valore è arbitrario, tanto arbitrario che ogni banca partecipante lo ha valutato (e rivalutato) a modo suo. E comunque è davvero difficile da concepire, ed eventualmente da digerire, il fatto che possano essere utilizzate le tasse degli italiani per pagare una cosa che è già loro e rimpinguare le casse di banche che non hanno né avrebbero potuto fare nulla per dare valore a quella partecipazione. Non hanno infatti avuto alcun ruolo nella gestione né hanno corso alcun rischio, non hanno fatto alcuna scelta imprenditoriale né avrebbero potuto al momento dell’acquisto né in quello eventuale della vendita. Era nelle casse di risparmio e negli istituti di diritto pubblico ed ora è nelle banche in cui quelle casse di risparmio e quegli istituti di diritto pubblico si sono trasformati o sono confluiti. L’unico elemento concreto è che questa partecipazione è stata remunerata. Ogni anno, alla chiusura del bilancio, la Banca d’Italia ha distribuito ai portatori di quote del suo capitale una piccola parte degli utili. Quest’anno, a chiusura del bilancio 2004, l’utile è risultato di 25,45 milioni di euro: circa 10 milioni sono andati a riserva ordinaria e straordinaria, altri 15 milioni sono andati allo Stato, reale proprietario di Banca d’Italia, e 15.600 euro a remunerare le quote. Visto che la Banca d’Italia è già un bene pubblico ed è privata solo formalmente, se si vuole ripristinare la legge l’unica cosa sensata l’unica che non offenderebbe gli onesti che pagano le tasse sarebbe prendere la media degli utili distribuiti dalla Banca d’Italia negli ultimi dieci anni e capitalizzarli al tasso di mercato. Si tratta di poche centinaia di migliaia di euro, ma oggi il valore economico effettivo della Banca d’Italia per i partecipanti al suo capitale è quello lì. Certo, le banche avrebbero vistose minusvalenze. Ma si può sempre dire loro che avrebbero dovuto pensarci prima ad adeguare il valore della partecipazione al suo rendimento (unico parametro realistico nel caso di una partecipazione che non si può gestire né negoziare), e si può aggiungere che a consolarle c’è sempre il credito fiscale che la minusvalenza determina. Sappiamo che i banchieri contano su valutazioni miliardarie e già affilano le armi, ma in un paese democratico i soldi dei cittadini non si usano così. O no?

13/09/2005

Documento n.5028

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