Da Panorama.it (20-12-05) La brutta eredità di Fazio

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La brutta eredità di Fazio di Sergio Romano 20/12/2005 Qual è, nei rapporti tra politica e finanza, il partner dominante? È la politica che impone alle banche le sue esigenze, non sempre confessabili? O sono le banche che, dopo essersi sdebitate con qualche favore, si servono del potere politico per meglio perseguire i loro obiettivi? » Forum Che cosa era Gianpiero Fiorani, l’ex amministratore delegato della Banca popolare italiana arrestato per ordine della procura di Milano? Era un finanziere di destra o un finanziere di sinistra? Mentre aspettiamo di capire meglio i capi di accusa proviamo a chiederci se anche la finanza italiana, come il sistema politico nazionale, sia diventata bipolare. Molti hanno osservato che le indagini sul vertice dell’Unipol (la grande società di assicurazioni delle cooperative che cerca di conquistare la Banca nazione del lavoro) creano una sorta di par condicio. Se i sospetti dei procuratori venissero confermati, il quadro della finanza italiana sarebbe più o meno questo. Esistono finanzieri di destra che godono dell’appoggio del governo o di un particolare partito. Ed esistono finanzieri di sinistra che hanno rapporti di amicizia con l’opposizione o con una delle sue componenti. Non sappiamo come questi banchieri saldino il debito di riconoscenza che hanno contratto con i loro padrini, ma è difficile immaginare che certi appoggi e sostegni siano totalmente disinteressati. Questa è una prima, evidente anomalia italiana. Ma le indagini su Giovanni Consorte, l’arresto di Fiorani e i rapporti fra le due persone lasciano intravedere una seconda anomalia, non meno interessante. I finanzieri di destra e quelli di sinistra godono della protezione dei rispettivi padrini ma si servono, per raggiungere i loro scopi, degli stessi mezzi e possono stringere, quando è utile, patti ideologicamente incestuosi. Giovanni Consorte, presidente Unipol, riferiva a Piero Fassino, segretario dei Ds, i progressi della sua scalata alla Banca nazionale del lavoro. Ma aveva rapporti molto proficui con la banca di Fiorani (la Popolare di Lodi) che ispirava le simpatie della Lega, e non era estraneo, apparentemente, alla raccolta dei fondi, che avrebbe permesso all’amministratore delegato di Lodi di conquistare l’Antonveneta. Il quadro, a questo punto, diventa molto confuso e suggerisce qualche domanda. Qual è, nei rapporti tra politica e finanza, il partner dominante? È la politica che impone alle banche le sue esigenze, non sempre confessabili? O sono le banche che, dopo essersi sdebitate con qualche favore, si servono del potere politico per meglio perseguire i loro obiettivi? Il caso Consorte e il caso Fiorani avrebbero una modesta importanza se non cadessero nel mezzo di una lunga serie di vicende opache e poco edificanti. Vi è stato il caso dei bond argentini che alcune banche hanno entusiasticamente consigliato a 400 mila risparmiatori italiani nel momento in cui esse sembravano piuttosto inclini a sbarazzarsene. Vi sono stati i casi Cirio e Parmalat, in cui le banche si sono dimostrate straordinariamente scaltre o, peggio, incompetenti. Dopo alcuni grandi scandali finanziari americani, il Congresso degli Stati Uniti ha approvato in sei mesi la legge Sarbanes-Oxley che introduce norme severe per la protezione del risparmiatore. Da noi la legge sulla tutela del risparmio è in Parlamento da più di due anni. È una legge sbagliata e controproducente? Se è questo il giudizio delle banche, vorremmo che ne spiegassero le ragioni. Altrimenti saremo costretti a pensare che possono bloccare una legge e dovremo chiederci di quali mezzi dispongano per esercitare sul governo una tale pressione. Non basta. Di fronte a un tale intreccio di spregiudicatezza finanziaria e inefficienza politica, è lecito chiedersi quale sia stato il ruolo degli organi che debbono vigiliare sul sistema bancario italiano. La Consob sembra avere fatto, con qualche esitazione e lentezza, il suo dovere. Può dirsi altrettanto della Banca d’Italia? L’istituto di Palazzo Koch non intende rinunciare alle sue prerogative in materia di vigilanza. Perché non si è accorto che le banche stavano dando prova, in alcune vicende, di una singolare leggerezza? La banca centrale protegge le banche nazionali per evitare che il risparmio degli italiani vada ad arricchire istituti stranieri che se ne serviranno senza tenere alcun conto, presumibilmente, dei nostri interessi. È una linea «patriottica», anche se molto discutibile. Ma è giusto promuoverla incoraggiando una banca regionale e sottocapitalizzata a inghiottire il boccone molto più grosso dell’Antonveneta? Di qui a qualche mese potremmo constatare come Fazio non fosse riuscito a impedire né la conquista olandese della Banca popolare di Lodi né la conquista spagnola della Banca nazionale del lavoro. Poco male se ciò fosse accaduto dopo una libera gara condotta con le leggi del mercato. Ma gli analisti osserveranno che gli olandesi e gli spagnoli hanno vinto contro tattiche su cui si sono accesi, per una ragione o per l’altra, i riflettori della magistratura. Hanno bussato alle nostre porte come compratori e finiranno per entrare in casa nostra come moralizzatori. È questa l’eredità lasciata dal Paese ora che si è deciso finalmente di uscire da Palazzo Koch.

21/12/2005

Documento n.5465

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