Da L’Espresso. Soldi sporchi in paradiso

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Da L’Espresso. Soldi sporchi in paradiso Il traffico del riciclaggio ammonta, secondo alcune stime, al 10 per cento del Pil mondiale Nascondere denaro all’insaputa di mogli, soci in affari ed esattori delle tasse è una pratica vecchia quanto il mondo. Trasferire soldi in un altro Paese in segreto e sotto anonimato è pratica ugualmente antica. La questione esplose a livello internazionale negli anni ’90, grazie al convergere dell’elettronica e della politica che facilitarono e resero più economico il trasferimento della valuta da una parte all’altra del mondo. Le innovazioni informatiche e nelle telecomunicazioni hanno incrementato l’uso dell’home-banking elettronico, abbassando i costi di gestione fondi e permettendo di effettuare movimenti bancari alla velocità della luce. Operazioni che prima potevano essere effettuate solo recandosi in banca di persona possono ora essere portate a termine per telefono o via Internet. I costi di gestione di una transazione bancaria tipica sono scesi così del 40 per cento via telefono, e del 98 se effettuata on line, a prescindere dal luogo in cui si trova il correntista. I cambiamenti politici degli anni ’90 hanno inoltre incrementato la deregulation finanziaria e facilitato il movimento del denaro oltre confine grazie a controlli più lascivi. Ne consegue che l’odierno sistema finanziario globale è sostanzialmente diverso da quello di soli 15 anni fa. Prima di tutto, il sistema è aumentato di dimensioni. L’attivo delle principali banche centrali del mondo è cresciuto dai 6,8 trilioni di dollari del 1990 ai 19,9 trilioni del 2004. Il volume giornaliero globale di valuta cambiata è salito alle stelle passando dai 590 miliardi di dollari al giorno del 1989 agli 1,88 trilioni del 2004. Il sistema finanziario globale non è cresciuto solo di dimensioni, ma è diventato anche più complesso. Per farla breve, il mondo è diventato il paradiso dei trafficanti di denaro sporco e l’incubo dei governi che cercano di monitorare e regolare tale riciclaggio. Secondo il Fondo monetario internazionale, oggi il riciclaggio di denaro sporco rappresenta tra il 2 e il 5 per cento del Prodotto interno lordo mondiale, ovvero tra gli 800 miliardi e i 2 trilioni di dollari. Secondo altre stime affidabili, rappresenterebbe anche il 10 per cento. Nonostante gli sforzi compiuti dopo l’11 settembre per tagliare i finanziamenti al terrorismo internazionale, il riciclaggio di denaro sporco è ancora in crescita. Le regole imposte all’indomani dell’attacco terroristico al World Trade Center hanno senza dubbio fatto aumentare i rischi per i trafficanti. "L’attegiamento della comunità internazionale deve cambiare... velocemente e in modo durevole", tuonava un resoconto firmato dall’ex segretario al Tesoro Usa, Paul O’Neill, e dal ministro della Giustizia, John Ashcroft. Ma la guerra al finanziamento del terrorismo e al riciclaggio del denaro sporco non sta dando molti frutti. I nuovi controlli hanno per lo più fatto salire i costi delle transazioni e le parcelle che gli operatori finanziari fanno pagare per i loro servizi. La conclusione cui sono giunti due rispettati esperti come Ted Truman e Peter Reuter nel 2004, attraverso una rigorosa ed esauriente valutazione delle regole antiriciclaggio, è che "il rischio di una condanna per chi traffica in denaro sporco è di circa il 5 per cento annuo. Dati di altri Paesi industrializzati indicano livelli anche più bassi". Secondo Nigel Morris-Cottrill, direttore del World Money Laundering Report, "chi ricicla denaro sporco cerca una struttura legale capace di fornirgli un rifugio e in questo gli Stati Uniti sono un vero e proprio paradiso fiscale". Un editoriale del ’Financial Times’ dal titolo ’Lo sporco segreto di Londra: i criminali possono riciclare denaro attraverso fondi fiduciari e società’, sosteneva che il Regno Unito contasse circa il 10 per cento di tutto il denaro sporco riciclato a livello globale poiché "le autorità britanniche sono meno disposte a usare le maniere forti contro i trafficanti". Ironia vuole che le autorità britanniche abbiano obbligato i centri finanziari offshore a rafforzare le proprie regole, tralasciando però di applicare le stesse regole alle attività finanziarie onshore, ovvero in Gran Bretagna. Il problema più ovvio è che non tutti i governi attribuiscono la stessa priorità al problema del riciclaggio. Persino tra coloro che la considerano una priorità, sono molti quelli che mancano di strumenti finanziari, tecnologici e logistici, capaci di combattere tale attività in modo efficace. Come mi ha detto Rudolf Hommes, ex ministro delle Finanze columbiano: "È ovvio che per noi il riciclaggio era un grosso problema. Ricordo quanto fosse doloroso per me decidere di spendere quella che per la Colombia era un’ingente somma per finanziare un’unità contro i crimini finanziari, sapendo perfettamente che era solo una piccola parte di ciò di cui c’era veramente bisogno. Ero consapevole che si trattava di una cifra irrisoria se paragonata alle risorse dei narcotrafficanti. E sapevo anche che mentre noi spendevamo denaro in questo modo, c’erano altri importanti necessità sociali che nel frattempo non potevano essere finanziate". Il vice ministro delle Finanze tedesco, Caio Koch-Wieser, l’ha messa in questo modo: "Senza una maggiore attenzione dei governi dei principali Paesi industrializzati, senza una maggiore cooperazione internazionale, la società combatterà una battaglia persa". Sfortunatamente, quando avviene questo, alcuni gruppi di persone ne escono avvantaggiati. A Zurigo ho incontrato un banchiere privato specializzato in gestione delle ricchezze di clienti di alto livello. Gli ho domandato: se qualcuno chiede il suo intervento per ’gestire’ 50 milioni di dollari, quanto è più difficile oggi aiutare questa persona a tenere nascosto il proprio denaro rispetto a dieci anni fa? Mi ha sorriso e ha risposto: "La differenza principale è che oggi mi faccio pagare di più". traduzione di Rosalba Fruscalzo __________________________

02/09/2005

Documento n.4984

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