Da LaVoce.info (13-10-05). Le molte conferme sulla povertà in Italia

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13-10-2005 Le molte conferme sulla povertà in Italia Massimo Baldini Il quadro della povertà nel nostro paese che emerge dai dati diffusi la scorsa settimana dall’Istat, relativi al 2004, presenta qualche novità, ma soprattutto molte conferme. L’indagine Istat L’Istat stima il numero dei poveri sulla base dell’indagine campionaria sui consumi, che ogni anno intervista circa 28mila famiglie. La linea di povertà, per una famiglia di due persone, è pari al consumo medio pro-capite. Per famiglie di diversa composizione, la soglia viene individuata applicando una scala di equivalenza. Poiché la povertà viene valutata sulla base del consumo, e non del reddito disponibile, questo criterio può sovrastimare la povertà delle famiglie molto parsimoniose, ad esempio di molti nuclei con capofamiglia anziano, e sottovalutare invece le condizioni di disagio delle famiglie che spendono tutto il proprio reddito o si sono indebitate. Accanto all’indagine sui consumi dell’Istat, l’altra fonte statistica di base per la stima della povertà nel nostro paese è costituita dall’indagine Banca d’Italia, che fornisce informazioni complementari perché valuta la povertà in termini di scarsità di reddito, e non di consumi. Nel prossimo futuro, a queste due indagini si aggiungerà anche il contributo della nuova rilevazione sui redditi e sulle condizioni di vita, che l’Istat ha appena presentato in un convegno. I suoi primi risultati saranno diffusi tra pochi mesi. Aumenta il divario fra Nord e Sud La figura presenta l’andamento della quota di famiglie povere nelle varie aree del paese, negli ultimi otto anni. Si nota una sostanziale stabilità della misura aggregata, con una incidenza oscillante attorno all’11 per cento. Quota di famiglie povere per area di residenza Fonte: Istat, "La povertà relativa in Italia nel 2003", Statistiche in breve del 13 ottobre 2004; "La povertà relativa in Italia nel 2004", Statistiche in breve del 6 ottobre 2005. Il risultato principale dell’indagine relativa al 2004 è l’aumento di quasi un punto della quota di famiglie povere, che passa dal 10,8 per cento del 2003 all’11,7 per cento. È vero che il margine di errore campionario rende la differenza tra i due valori al limite della significatività statistica, comunque un aumento secco di quasi un punto non è cosa da poco. Questo incremento sembra dovuto a un forte peggioramento delle regioni meridionali, e a un rilevante miglioramento del Nord. In realtà, l’unico dato davvero nuovo che emerge da queste stime è la crisi dei consumi del Meridione, mentre sarebbe sbagliato leggervi anche un aumento del benessere delle famiglie residenti nel Nord. La ragione è semplice: la linea di povertà è unica su tutto il territorio nazionale, e dipende dall’evoluzione dei consumi in tutte le aree del paese. Se al Sud i consumi crollano e al Nord aumentano, allora la linea, che si applica a tutti, cresce meno che proporzionalmente rispetto ai consumi medi delle famiglie del Nord, e quindi alcune di queste ultime, che prima erano sotto la linea di povertà, ora possono non risultare più povere. Ma è evidente che il tenore di vita delle famiglie milanesi a basso reddito non aumenta per il solo fatto che i consumi delle famiglie di Catania diminuiscono. Per verificare se al Nord vi sono davvero meno famiglie indigenti avremmo bisogno di linee locali della povertà, ad esempio una linea calcolata solo con riferimento ai consumi delle famiglie del centro-nord, e una relativa solo al meridione. La linea nazionale unica rimane importante perché siamo comunque cittadini di una medesima nazione, ma senza linee locali non possiamo sapere come la povertà stia davvero evolvendo nelle aree caratterizzate da andamenti divergenti dei consumi medi. Paradossalmente, se usassimo linee locali potremmo anche scoprire che la povertà è diminuita al Sud, ed è invece aumentata al Nord. L’unica vera novità che è contenuta nei dati Istat è quindi che il gap tra le due Italie si sta ampliando, come già in parte sapevamo sulla base di una ampia batteria di indicatori congiunturali, dalla produzione industriale all’andamento dell’occupazione, o a quello delle vendite al dettaglio. La linea di povertà a 1.500 euro È istruttivo anche considerare il valore monetario della linea di povertà, cioè della soglia di spesa mensile al di sotto della quale si è considerati poveri: per una famiglia di quattro persone essa vale 1.500 euro. Ciò significa che tutti i nuclei di quattro componenti in cui solo il padre lavora, ma guadagna meno di questa cifra, sono poveri. Insomma, per molte famiglie si pone la scelta obbligata tra la sicurezza economica e avere il secondo bambino. Si tratta di una situazione molto frequente, non solo nel lavoro manuale, ma anche tra impiegati e insegnanti. Non è quindi un caso che il tasso di fertilità nel nostro paese sia così basso. Il confine tra benessere e povertà è dunque spesso molto labile: può bastare un evento straordinario, come la nascita del secondo o del terzo figlio, o il licenziamento del coniuge, per precipitare al di sotto della soglia. L’andamento ad U della povertà nel ciclo di vita Dai dati Istat ci viene un’altra conferma: l’incidenza della povertà nel ciclo di vita delle famiglie presenta un tipico andamento ad U. Il rischio di povertà è alto quando si hanno in famiglia bambini piccoli, si abbassa quando il capofamiglia raggiunge l’apice della carriera lavorativa e i figli escono (lentamente) di casa, cioè verso i 50-60 anni, e aumenta tra i pensionati. Come detto, l’incidenza della povertà tra gli anziani potrebbe essere esagerata dalla considerazione del consumo e non del reddito; l’indagine Banca d’Italia sui redditi mostra infatti una maggiore diffusione della povertà tra i bambini. Comunque, è certo che vi sono molti anziani che hanno tenori di vita bassissimi. Questo profilo della povertà è noto da tempo, così come le sue cause. La principale consiste nei tanti difetti strutturali del nostro sistema di protezione sociale. Il welfare state italiano è troppo sbilanciato sulle pensioni, e destina risorse molto scarse a tutela degli altri principali rischi sociali, in particolare la disoccupazione e i carichi familiari. Mentre nei paesi europei la spesa per la famiglia raggiunge in media l’8 per cento della spesa sociale, questa percentuale si dimezza in Italia. Ancora peggio va per gli ammortizzatori sociali, a cui il nostro paese riserva solo l’1,6 per cento della spesa sociale, contro il 6 per cento medio in Europa. Le pensioni, infine, proteggono bene gli ex lavoratori del centro-nord, ma sono basse per gli altri, soprattutto per le donne molto anziane. Tra tutti i 25 paesi dell’Unione Europea, solo Spagna e Grecia hanno sistemi di welfare meno efficaci del nostro nel ridurre il rischio di povertà. A quando le riforme? Negli ultimi anni per aumentare i redditi familiari si è puntato soprattutto sui tagli all’Irpef, con risultati deludenti. Gli interventi "sociali" a cui si sta pensando in questi giorni per la nuova Finanziaria, se ci saranno, avranno solo una validità transitoria, come il bonus per il secondo figlio del 2004, quindi con effetti strutturali nulli. Se, come molti temono, il deficit del bilancio pubblico viaggia ormai verso il 5-6 per cento del Pil, allora c’è poco da sperare nelle riforme, e i futuri rapporti sulla povertà dell’Istat ci forniranno una fotografia dei poveri molto simile a quella di oggi.

14/10/2005

Documento n.5168

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