CRISI: MA NON ERA PASSATA ? SOCIETE GENERAL,LA BANCA DI JEROM KERVIEL (BUCO DA 5 MILIARDI DI EURO) LANCIA L'ALLARME

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La crisi dopo la crisi: segnali allarmanti da banche, Cina e Germania Emiliano Condò La Société Générale stampa una guida per i suoi clienti per prepararli ad una nuova ondata di crisi; Cina e Germania attaccano la politica monetaria Usa e temono per nuove turbolenze sui mercati finanziari; la disoccupazione negli Stati Uniti continua ad aumentare; le assicurazioni sulla vita minacciano di diventare la nuova bolla speculativa dopo i mutui subprime; il debito pubblico riduce i margini di manovra dei governi; ma il peggio è passato o deve ancora venire? L’allarme viene dalla Société Générale, grande banca d’affari francese. Mentre tutti gli istituti e i governi snocciolano cifre “incoraggianti” sulla ripresa, i banchieri francesi mandano un segnale raggelante. Lungi dal considerare la crisi un brutto ricordo, Societé Générale ha confezionato un libricino di 68 pagine per preparare i clienti al «peggiore degli scenari possibili», un collasso dell’economia globale nei prossimi due anni. Viva l’ottimismo. Alla faccia dei tanti che, in questi mesi hanno annunciato e brindato alla fine della crisi finanziaria. Un avvertimento sia agli ottimisti sfacciati sia ai più prudenti, quelli che in uno strenuo sforzo di contenimento dell’entusiasmo, si limitano a dire che il peggio è passato. Il collasso globale dell’economia, si è scritto un po’ ovunque, è stato scongiurato anche grazie ad una “riscoperta” del ruolo dello Stato. Uno scenario roseo che non piace affatto a Societé Générale che ipotizza un panorama ben diverso: non ci si trova al sicuro su una sponda, ma solo su una secca, a metà del guado. E la parte più difficile è ancora da attraversare. Per i banchieri francesi il rischio è concreto: uscire dal tunnel della crisi è costato carissimo a tutti i Paesi, non solo in termini di sacrifici (il fallimento della Lehman per esempio), ma soprattutto in termini di indebitamento. Secondo il capo di Société Générale, Daniel Fermon, la possibilità di uno scenario da incubo è tutt’altro che da escludere: dollaro sempre più giù, nuovo crollo del prezzo degli immobili e petrolio a precipizio sotto i 50 dollari al barile. Si deve poi considerare il potenziale deflagrante della bolla assicurativa che dalle parti di Wall Street si candida per essere la prossima responsabile di un crollo stile mutui subprime. Se si verificasse una simile eventualità, e qui c’è l’aspetto più preoccupante della questione, troverebbe le casse degli Stati coinvolti desolatamente vuote, perché l’economia pubblica ha già dato e le cifre del debito sono da brivido. Al debito pubblico va poi aggiunto anche quello dei privati, i quali, per sopravvivere durante la crisi, hanno mangiato i risparmi, se li avevano, oppure si sono indebitati ulteriormente. Rispetto a questo problema l’Italia sta messa un po’ meglio anche se il contrasto alla crisi arriva come sempre attraverso la leva del debito pubblico che ha raggiunto livelli insostenibili, essendo il più alto d’Europa. Non è finita qui: Cina e Germania lanciano l’allarme sul dollaro e i tassi di interesse, che sono ancora troppo bassi. Due dati che, a detta di Pechino e del ministro delle finanze tedesco Wolfgang Schäuble, potrebbero portare a nuove turbolenze finanziarie. Come? Con la speculazione, “as usual”. Gli investitori, infatti, attratti dal prezzo del dollaro sono portati a prenderlo in prestito a tassi bassissimi per investirlo all’estero dove rende di più. Una politica monetaria, quella Usa, che non piace alla Banca Centrale Europea e che, a detta di Schäuble, è destinata a creare «enorme turbolenza nei mercati finanziari». E poi c’è la disoccupazione. Negli Usa, per fare un esempio, il numero delle persone senza lavoro continua a crescere arrivando a cifre da record. Scrive Bloomberg che in California, Delaware, Carolina del Sud e Florida, nonostante la “fine” della crisi, la gente continua a perdere il posto. Negli Usa, è noto, il mercato del lavoro è più flessibile che da noi. Parolina magica. Dovrebbe significare che, perso il posto, uno trova quasi subito una collocazione simile da un’altra parte. Peccato che la bacchetta magica della flessibilità si sia spezzata da tempo e che molte grandi società, in settori chiave come l’informatica, per tutto il 2010 almeno, abbiano in programma solo tagli. Le grandi aziende, di norma, lavorano con il meccanismo della “candidatura”: un’ azienda offre un posto ed esamina tutti gli aspiranti. Una serie di colloqui a scrematura selettiva. Solo che, negli Usa, se si fa domanda la maggior parte delle volte non si viene chiamati neppure una volta. La strategia scelta da Obama è stata quella di tamponare la disoccupazione con i sussidi, in attesa del momento in cui, con la ripresa, le aziende torneranno ad assumere. Per ora, però, non c’è traccia di nuovi posti di lavoro, anzi. La politica delle imprese, piuttosto, è quella di “spremere” chi ha mantenuto il posto nonostante la crisi. Il potenziamento degli organici, invece, può attendere tempi migliori. Così la risalita del tasso di occupazione, stimata in origine per la fine del 2009 è stata “cautamente” spostata dagli analisti alla seconda metà del 2010. Ma c’è già chi dice che, prima del 2011, di veder scendere il numero di disoccupati non se ne parla: con conseguenze facilmente immaginabili per le finanze pubbliche. Caccia al lavoro Lo scenario, quindi è complesso ed è lecito chiedersi se ci si trovi alla fine di una crisi o, piuttosto, nella fase intermedia tra due ondate negative. Le 68 pagine della Société Générale non sono un oroscopo, ma solo una guida per i clienti con tanto di consigli su cosa vendere per evitare di mandare in fumo i propri soldi. E’ necessario disfarsi, secondo la banca francese, dei titoli “ciclici” come assicurazioni, auto e viaggi. Il tutto per evitare di essere coinvolti in una possibile nuova «spirale deflazionistica». Ma il peggio non era passato?

28/11/2009

Documento n.8307

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