CALCIO: UN IMPERO CROLLATO COME UN CASTELLO DI CARTA

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Tratto da www.dagospia.it l’impero deL CALCIO è crollato come un castello di carte - La Roma non riesce a ridare 365 MILIONI alle banche, l’Inter ha perdite per 150 - Berlusconi ha ripianato un passivo di 66,8 milioni e ora cerca un socio ARABO - Per il Torino Cairo si è svenato ed è sempre in bilico per non retrocedere IN B Renzo Rosati per "Panorama" Qual è la miglior vittoria per il tifoso incallito? Ovvio: su gol a tempo scaduto, e magari un po' rubacchiata. Tanto più se si parla di una Roma che è tornata la «Rometta» dei tempi grami e di fronte ha il Catania, rivale storico. Ebbene, sabato 16 maggio al gol di Cristian Panucci segnato appunto al penultimo minuto di recupero gli spalti dell'Olimpico hanno pensato bene di festeggiare il 4 a 3 e il possibile accesso all'Europa league al grido di «Rosella Sensi devi andare via» rivolto al presidente; e «solo la maglia, tifiamo solo la maglia», alternato con «quando ve pare, giocate quando ve pare», indirizzato ai giocatori. Conclusione: Francesco Totti e compagni a capo chino verso gli spogliatoi, mentre Rosella Sensi scoppiava in lacrime, da sola, in tribuna d'onore. Frutti avvelenati di un calcio mai balordo come ora, nel quale più che di scudetti e vittorie si parla di debiti, fallimenti, dinastie imprenditoriali rovinate. Certo, l'Italia ha avuto Calciopoli, ma stavolta il problema è europeo, anzi planetario. Basta pensare che il 27 maggio proprio l'Olimpico ospiterà la finale di Champions tra Manchester United e Barcellona, dominatrici di una Premier league e di una Liga oberate ciascuna da 3,5 miliardi di debiti. Quanto a noi ospitanti, ci salviamo solo perché, in base alla legge sul calcio, è sufficiente che le squadre ripianino le perdite dell'ultima gestione. Che a fine campionato comunque saranno, secondo stime, per la sola serie A pari a 300 milioni. Per metà a carico dell'Inter neoscudettata di Massimo Moratti e José Mourinho. Chi invece guarda ai debiti sono banche, sponsor e azionisti. È per questo che l'Unicredit ha imposto alla Roma il rientro da almeno 365 milioni di prestiti concessi quando a capo del club giallorosso c'era Franco Sensi, fondatore dell'Italpetroli, azienda che spaziava dai depositi di Civitavecchia al Corriere Adriatico, dall'hotel Cicerone a terreni edificabili sparsi un po' ovunque intorno alla capitale. Allora la banca di riferimento era la Capitalia e il banchiere di riferimento Cesare Geronzi. Assorbita la Capitalia nell'Unicredit, salito Geronzi nelle stanze della Mediobanca, scomparso Franco, esplosa la crisi finanziaria globale, l'impero dei Sensi è crollato come un castello di carte. Rosella ha presentato un bilancio 2008 con un utile corrente di 19 milioni, ma a fine dicembre non è riuscita a versare la prima rata da 130 milioni del piano di rientro imposto dall'Unicredit. Ha tempo fino al 31 luglio, nel frattempo intorno alla società più che lupe capitoline e aquile laziali si aggirano altri predatori. Su tutti la cordata svizzero-tedesca composta dal finanziere Volker Flick e dal procuratore Vinicio Fioranelli, ai quali potrebbe affiancarsi l'ex presidente del Grasshoppers Romano Spadaro. Ma si è fatto vivo, con un annuncio, anche l'industriale farmaceutico Silvano Angelini. Mentre un anno fa il mese di aprile era stato dominato dalle voci di scalata nientemeno che di George Soros, che sarebbe stato rappresentato dall'avvocato italoamericano Joe Tacopina; subito dopo è stata la volta di fondi arabi. La Roma (con Juventus e Lazio) è uno dei tre club di calcio quotati in borsa, e non si tratta precisamente di una blue chip. Inutile dire che a ogni fiato, prontamente amplificato dal circuito di radio locali controllate dai circoli giallorossi, il titolo è schizzato, anche del 25 per cento in un giorno. Ora la Consob si è decisa a indagare. Anche se il vero interessato alle sorti della Roma pare il gruppo Caltagirone. Edoardo, nipote di Francesco Gaetano, vorrebbe costruire il nuovo stadio, alla Magliana, tra la Fiera e l'autostrada per Fiumicino. E ovviamente fanno gola anche i terreni. Ma in fondo il popolo giallorosso a queste traversie è abituato. È guardando più su, ai quartieri alti del campionato, che si scorgono crepe che non ti aspetti. Prendiamo l'Inter, fresca del quarto scudetto consecutivo. Massimo Moratti ha appena ripianato due terzi delle perdite nerazzurre con i 100 milioni del dividendo annuale della Saras, l'azienda di raffinazione di famiglia. Suo fratello Gian Marco, che ha diritto agli altri 100 milioni di cedole, non sembra però più disposto al sacrificio. Dunque si parla di una famiglia Moratti che discute intorno all'ipotesi di affidare a una banca d'affari la ricerca di un partner straniero di minoranza. Anche perché, se quest'anno le perdite dell'Inter sono state di 148,3 milioni, nel 2007 furono di oltre 200, mentre il futuro sembra affidato a un piazzamento nella Champions league, che prevede un meccanismo di bonus decrescente da 40 milioni di euro (per la vittoria) in giù. E l'Inter nell'ultima edizione (i cui proventi influiranno sui bilanci 2009) non è andata oltre gli ottavi. Stessi problemi, anche se su scala ridotta, li ha il Milan. Silvio Berlusconi ha appena ripianato di tasca propria un passivo di 66,8 milioni e ora, oltre a rinnovare di sana pianta squadra e allenatore, è alla ricerca di un socio. Anche in questo caso pare siano decisive le pressioni dei figli Marina e Pier Silvio, non entusiasti che la famiglia o la Fininvest debbano continuare a spalancare i portafogli. Dunque, possibile arrivo di un partner arabo: si parla dell'Abu Dhabi United Group, che investirebbe 500 milioni per il 35 per cento del Milan, con la mediazione della Bnp Paribas. Ai soldi si deve anche lo psicodramma in casa Juve che ha portato all'esonero di Claudio Ranieri a due giornate dal termine, un fatto inaudito nella tradizione sabauda. La realtà è che la stessa «triadina» bianconera composta da Jean-Claude Blanc, Giovanni Cobolli Gigli e Alessio Secco, che rende conto non alla Fiat (l'interesse di Sergio Marchionne per la Juve è pari a zero) ma alla Exor, la finanziaria degli eredi Agnelli, ha la necessità di non mancare il terzo posto in campionato, che vale l'accesso diretto, senza preliminari, alla Champions. Arrivare quarti, infatti, comporterebbe tra ferie dimezzate, contratti anticipati, ingaggi congelati e amichevoli saltate, la perdita di almeno 15 milioni, che il bilancio, già in rosso di 20,8, non potrebbe sopportare. E la Juventus, a differenza di Inter e Milan, non ha più un padre padrone disposto a staccare assegni. Panorama di macerie per il «campionato più bello del mondo». Macerie almeno finanziarie, con il calcio sempre più ci si rovina. La più recente tra le vittime illustri è Giuseppe Gazzoni Frascara, ex proprietario del Bologna e dell'Idrolitina, finito sotto processo per bancarotta. Gazzoni ci ha rimesso l'azienda e la tranquillità familiare, ma dopo di lui il Bologna, se pure affidato a mani capaci, ha continuato a navigare in acque incerte: Alfredo Cazzola, imprenditore e patron del Motor show, oggi candidato sindaco per il centrodestra, ha capito subito l'antifona. Passato a Francesca Menarini, erede di una famiglia di costruttori, il Bologna lotta tuttora per non retrocedere in serie B. Il pallone rischia di rivelarsi fatale pure a chi combatte per la promozione. La Pro Patria di Busto Arsizio, tra i più antichi club italiani (fondata nel 1881), è in corsa per il passaggio dalla Lega Pro (ex serie C) alla B. E proprio sul finire di un campionato, condotto quasi sempre in testa, la Finanza ha arrestato il suo presidente Giuseppe Zoppo accusato di bancarotta fraudolenta. Nel 2008 il fallimento ha eliminato dal panorama del calcio anche il Messina dell'armatore Pietro Franza, protagonista di alcune stagioni in serie A. Quattro anni prima toccò all'Ancona di Ermanno Pieroni, ex arbitro e poi segretario dell'industriale Francesco Merloni. Ora le disavventure giudiziarie coinvolgono l'immobiliarista Giovanni Lombardi Stronati, proprietario del Siena, ma anche del teatro romano Ambra Jovinelli, di due elicotteri, quattro barche, una Bentley e una villa in Costa Smeralda. Insomma, ai ricchi e famosi chi glielo fa fare? Appena rilevata la Fiorentina dal crac di Vittorio Cecchi Gori, Diego Della Valle, abituato agli uffici ovattati della Confindustria e della Mediobanca, raccontò a un amico: «Le riunioni di Lega sembrano il mercato del pesce. Tutti gridano, volano parolacce e si parla solo di soldi». A Della Valle in fondo con i viola non è andata male (anche se resta memorabile il suo commento «Mio fratello mi ha ricordato che siamo interisti»), almeno a paragone del suo collega Urbano Cairo, ex Fininvest e oggi a capo di un ricco gruppo editoriale. Per il Torino Cairo si è svenato, con soddisfazioni pari a zero, e sempre in bilico per non retrocedere. Forse chi aveva capito tutto è l'ex proprietario e industriale farmaceutico del Pisa, Maurizio Mian. Alla presidenza onoraria della squadra aveva piazzato il proprio cane, Gunther. Salvo poi vendere tutto e ritirarsi a Miami.

25/05/2009

Documento n.7938

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