BANCHE: LA SUPERTASSA DI OBAMA E' DIETRO L'ANGOLO - LA CASA BIANCA IN PRESSING SU BANKITALIA - STANGATA FISCALE ANCHE IN EUROPA E IN ITALIA ? ERA ORA

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OCCHIO A DRAGHI - IL GOVERNATORE METTE IN GUARDIA GLI ISTITUTI DI CREDITO ITALIANI - LA SUPERTASSA DI OBAMA E' DIETRO L'ANGOLO - LA CASA BIANCA IN PRESSING SU BANKITALIA - STANGATA FISCALE ANCHE IN EUROPA E IN ITALIA - DOCUMENTO RISERVATO DI VIA NAZIONALE VALUTA L'IMPATTO - PASSERA TREMA E VA DA TREMONTI - ABI ATTACCA IL GOVERNO: BASTA CON LE MANOVRE TRIBUTARIE, NON CI AVETE AIUTATO... tratto da www.dagospia.it Francesco De Dominicis per "Libero" Il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, la sta valutando seriamente. E anche a Bruxelles la studiano con una certa attenzione. La super tassa di Barack Obama sulle banche americane, insomma, sta assumendo la forma di un modello da esportare. Inevitabile, perciò, che la manovra straordinaria del presidente degli Stati Uniti finisse pure sotto la lente della Banca d'Italia. Nessuna valutazione politica da parte dell'istituto centrale. Il documento sulla stangata fiscale made in Usa che circola a via Nazionale - e che Libero ha potuto consultare - è di natura squisitamente tecnica. Si tratta di una dettagliata analisi circa l'impatto del prelievo straordinario del fisco Usa a danno delle banche che hanno beneficiato degli aiuti pubblici per uscire dalla crisi. Il titolo del rapporto, tutto in inglese, è «Financial crisis responsibility fee», vale a dire la tassa sulle responsabilità della crisi finanziaria. Il costo del Tarp (il gigantesco fondo messo in piedi a Washington per salvare i colossi bancari attraverso ricapitalizzazioni straordinarie) è valutato in 117 miliardi di dollari. Denaro che, grazie all'intervento tributario sui big con almeno 50 miliardi in asset finanziari, potrebbe tornare nelle casse pubbliche in dodici anni. Ammonta a circa 90 miliardi, invece, la stima del gettito Usa recuperabile entro il 2020. Il governatore di Bankitalia, Mario Draghi, finora non ha detto nulla sulla tassa di Obama. Gli addetti ai lavori, però, si aspettano una presa di posizione a stretto giro, tenuto conto che il primo inquilino di palazzo Koch è anche il presidente del Financial stability board, l'organismo internazionale chiamato a riscrivere le regole post-tsunami finanziario. In passato, Draghi è andato nella direzione opposta e ha più volte espresso la necessità di ridurre la pressione fiscale sull'industria creditizia tricolore. Il rapporto di Bankitalia non stima l'impatto di una una eventuale operazione fiscale sulle banche in Italia. Nel documento, però, è evidenziato che Washington farà pressione «attraverso il G20 e l'Fsb» di Draghi perché vengano «adottate misure fiscali simili». Il dossier fiscale americano è sulla scrivania di Tremonti. Che è stuzzicato - e non poco - dall'idea che «chi è stato salvato con il denaro pubblico restituisca il denaro con il sovrappiù dei benefici di sistema». Il responsabile di via Venti Settembre, insomma, pensa sempre a Robin Hood e pare intenzionato ad allungare la mano sui bilanci degli istituti di credito italiani. Simulazioni e proiezioni vengono elaborate in questi giorni dagli esperti di Bruxelles. L'ipotesi di recuperare gli aiuti dati al settore finanziario - sul modello della decisione annunciata dall'amministrazione Obama negli Usa - è già approdata sul tavolo dell'Ecofin, l'organismo che riunisce i ministri finanziari Ue. Il tema scotta. E fra i big del credito del nostro Paese sale la tensione. Così, ieri, l'Abi ha rotto gli indugi. Secondo il direttore generale, Giovanni Sabatini, un eventuale aumento dell'imposizione fiscale sull'industria finanziaria non dovrebbe riguardare le banche italiane, che non hanno ricevuto iniezione di capitale da parte del governo. La faccenda con ogni probablilità è stata al centro di un rapido faccia a faccia fra Tremonti e il ceo di Intesa, Corrado Passera, a Roma. I contenuti della riunione, durata circa mezz'ora, sono top secret. Ma è probabile che il confronto abbia toccato le tasse. Questione che, insieme con la revisione dei criteri sui crediti alle imprese (Basilea2), sarà affrontata anche nel consueto appuntamento del 26 gennaio fra Draghi e i vertici dei principali istituti. Occasione in cui il governatore farà una rapida verifica sul giro di vite ai megastipendi dei superdirigenti. Sembra che le banche italiane abbiano rapidamente rispettato le disposizioni dell'autorità di vigilanza. A Wall Street, invece, i banchieri non hanno perso il vizio. Nonostante il clamore degli scandali finanziari - e la valanga di soldi pubblici spesi per evitare pericolosi crac - i top manager continuano a godere di buste paga spropositate, salvo piccoli tagli. È il caso di Goldman Sachs. Che giusto ieri ha annunciato un taglio temporaneo. La banca ha ridotto al 35,8% la percentuale dei ricavi 2009 destinati ai compensi: è la percentuale più bassa dallo sbarco in borsa della società, cioè dal 1999. In tutto 16,2 miliardi dollari (in media quasi 500mila dollari per dipendente), in aumento del 48% rispetto al 2008, ma lontani dai 20 miliardi e spiccioli del 2007.

22/01/2010

Documento n.8430

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