ANATOCISMO: ADUSBEF RIPESCA UN ARTICOLO DI MARCO ESPOSITO DEL NOVEMBRE 2004

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Banche, restituite gli interessi sugli interessi Lannutti (Adusbef): i correntisti devono avere l’arma dell’azione legale collettiva MARCO ESPOSITO Anatocismo. Per i greci era quasi una bestemmia: «ana» vuol dire sopra e «tokismos» usura, per cui l’anatocismo è qualcosa che supera la già odiosa usura. La novità è che le banche che tra il 1942 e il 1999 hanno praticato l’anatocismo - vale a dire il calcolo degli interessi sugli interessi - dovranno ricalcolare gli interessi sul prestito e restituire al cliente, piccolo correntista o imprenditore, la differenza. Maggiorata, si perdoni il bisticcio, degli interessi legali. Della vicenda si parla da dieci anni, ma l’ultima sentenza della Cassazione - la 21095 del 4 novembre 2004 - respinge l’ennesimo controricorso di una banca (nel caso, il Credito italiano, oggi Unicredit), dà ragione in modo definitivo a due piccoli imprenditori di Cagliari e apre la strada ai rimborsi di massa. Una strada però, come si vedrà, ancora irta dei consueti scogli della giustizia italiana. Non a caso l’Abi, l’associazione delle banche italiane, ha diffuso uno stringatissimo comunicato nel quale in sostanza si augura che altre sentenze possano modificare la giurisprudenza. «Le banche - scrive l’Abi - prendono atto della sentenza della Cassazione sulla capitalizzazione degli interessi. Le cause già instaurate continueranno a seguire il loro iter e le banche, naturalmente, ne rispetteranno gli esiti». A cantare vittoria invece è Elio Lannutti, presidente dell’Adusbef. Ex dipendente del Banco di Roma, Lannutti ha fondato l’Adusbef nel 1987 proprio per mettere a disposizione dei clienti delle banche le sue conoscenza fatte dall’altra parte della barricata. E, tra le tante battaglie, quella dell’anatocismo è la più lunga. «È una grande giornata per i consumatori - dice al Mattino mentre entra alla Rai per rilasciare una serie di interviste ai Tg - adesso però è fondamentale che passi la class-action, la legge per le cause collettive, altrimenti andranno organizzate tante cause individuali». Ecco il punto. Se la giurisprudenza ha ormai con chiarezza definito illegali le pratiche bancarie sugli interessi composti, ciò non si traduce in un automatico diritto al rimborso per i correntisti. Ogni pratica deve seguire il suo iter legale, proprio perché in Italia ancora non è in vigore la class-action, l’azione collettiva, che negli Stati Uniti consente agli studi legali di avviare a proprie spese azioni legali in favore dei consumatori, i quali neppure sanno del ricorso. Se la causa viene persa, lo studio legale non incassa un centesimo, se viene vinta, è il giudice a fissare il giusto corrispettivo per gli avvocati e tutti gli interessati al rimborso, anche senza che abbiano fatto domanda, ricevono appena rintracciati la somma che spetta. Nel caso del calcolo degli interessi sono potenzialmente coinvolti milioni di italiani. L’Adusbef ne stima dieci milioni per 30 miliardi di euro, l’Abi molti di meno; ma in ogni caso sarebbero numeri in grado di intasare qualsiasi sistema giudiziario se si trasformassero in singole azioni legali. All’origine del problema dell’anatocismo c’è una interpretazione del codice civile del 1942. Il quale vieta la pratica del calcolo degli interessi sugli interessi «salvo usi contrari». Tali usi sono stati codificati nel 1952 dall’Associazione bancaria, per cui in un’epoca nella quale era vietato farne. Una legge del 1999 ha sancito l’illegittimità dell’interesse composto, però per evitare una marea di cause ha stabilito che tale divieto vale solo per il futuro. Ma la legge salvabanche è stata più volte dichiarata incostituzionale, aprendo la strada ai ricorsi. E, con la sentenza della Cassazione del 4 novembre scorso, può ben dirsi che giustizia è fatta. Almeno a Cagliari.

10/01/2008

Documento n.7061

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