SUB-PRIME: RAIMONDI E LETTIERI,NUOVA ARCHITETTURA FINANZIARIA PER CRISI SISTEMICA

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Crisi mutui subprime Una nuova architettura finanziaria globale per far fronte alla crisi sistemica Mario Lettieri, sottosegretario del Ministero delle Finanze, Paolo Raimondi, economista Roma, ottobre 2007 La crisi dei mutui subprime, esplosa in America e divampata nel resto del mondo, evidenzia la crisi finanziaria sistemica globale. Dopo l’implosione della bolla della “new economy” intorno all’anno 2000, la finanza speculativa aveva iniziato una nuova avventura nel settore immobiliare gonfiando i prezzi delle case in modo sproporzionato sia in America che in altri Paesi. Era la sua “soluzione”, la strada più facile, per mantenere e rifinanziare la crescente montagna di valori virtuali e di debiti che aveva creato. Nel mondo finanziario, senza più regole, questo è stato l’inizio di tante altre bolle speculative. Dai mutui coperti da garanzie reali e certe si è passati ai mutui-spazzatura, ai famosi subprime, concessi anche in casi di alto rischio di insolvenza. Poi questi titoli sono stati usati per creare altre strutture di capitale su cui emettere obbligazioni. Una Parmalat globale alla massima potenza! Sempre su questi titoli e obbligazioni a rischio, gli hedge fund speculativi hanno poi emesso una quantità inimmaginabile di derivati finanziari. Si è creata, quindi, una piramide sulle sabbie mobili. Oltre alle banche americane, altre banche in altre parti del mondo, soprattutto in Europa, sono state colpite. In Inghilterra, nei giorni scorsi, la gente ha fatto la fila davanti agli sportelli bancari per ritirare i propri risparmi. Non si tratta, quindi, di crisi di settori speculativi marginali al sistema bancario e finanziario, bensì dell’intero sistema. Le banche centrali, la Banca Centrale Europea in primis, hanno immesso liquidità per ben oltre 500 miliardi di dollari, per avere un effetto stabilizzante. Ma le borse hanno comunque visto evaporare migliaia di miliardi in crolli a catena sui titoli negoziati. Adesso le banche centrali e anche il Fondo Monetario Internazionale ammettono un effetto negativo sul PIL mondiale. La crisi finanziaria ha lasciato i corridoi delle banche e sta riverberando i suoi effetti negativi sulla produzione dei beni, sull’occupazione, sugli investimenti produttivi e sulla stabilità sociale. Le dimensioni del problema sono enormi. L’America ha un PIL di 12.000 miliardi di dollari, ma solamente i due principali enti ipotecari immobiliari, Fammie Mae e Freddie Mac, vantano una gestione di mutui per 7-8.000 miliardi e un debito di 4.000 miliardi di dollari. Negli ultimi mesi poi il totale dei mutui subprime ad altissimo rischio aveva superato i 1.500 miliardi di dollari. Questi mutui erano stati accesi in gran parte a tassi di interesse variabile. I tassi erano scesi fino all’1% per aiutare artificialmente con liquidità a basso costo a uscire dalla crisi di borsa della “new economy”. I tassi, in seguito, hanno ripreso a salire per contenere un’inflazione che cominciava a galoppare per la grande liquidità in circolazione. Questo ha innescato un meccanismo infernale: fallimenti e pignoramenti di case, per cui la “vacca” dei mutui non poteva più essere munta come previsto. Quindi buchi insanabili anche per le banche e per il rifinanziamento delle obbligazioni e dei derivati dei fondi speculativi. Una reazione a catena mille volte più grande del fallimento del fondo LTCM del 1998 che aveva già allora portato l’intero sistema alle soglie di un collasso. Hans Jorg Rudloff della finanziaria Barclay Capital sul Financial Time lo ha chiamato un “attacco cardiaco” del sistema. Chi può intervenire per mettere le cose a posto dopo che tutte le regole di un’economia sana e razionale sono state accantonate per far posto a un fantomatico mercato finanziario capace di autoregolarsi? Le banche centrali hanno immesso liquidità e allentato i tassi di interesse. Tale decisione difficilmente risolverà la crisi, che potrebbe essere rilanciata ad un livello più alto. Soltanto l’autorità dei governi e dei parlamenti a livello globale, come fece nel 1933 Franklin Delano Roosevelt con il suo New Deal per uscire dalla Grande Depressione americana, può essere capace di invertire la rotta e riportare l’economia reale sulla via della stabilità e della ripresa. Nel 2005 il Parlamento italiano discutendo ed approvando una mozione, presentata alla Camera e votata quasi all’unanimità, evidenziava come le crisi del fondo LTCM, della Enron, dei bond argentini, della Parmalat, non fossero altro che segnali di una profonda crisi globale. Si paventava, inoltre: “ una crisi dell’intero sistema finanziario sempre più finalizzato alla pura speculazione, dove gli hedge fund, operatori al di fuori di ogni regola e di ogni controllo, assumono sempre maggior peso. Si stima infatti, che l’ammontare dell’intera bolla finanziaria, sommando titoli derivati e tutte le altre forme di debito esistente, sia intorno a 400.000 miliardi di dollari, a fronte di un prodotto interno lordo mondiale di poco più di 40.000 miliardi di dollari”. La mozione concludeva impegnando il Governo “ad attivarsi nelle competenti sedi internazionali per costruire una nuova architettura finanziaria finalizzata ad evitare futuri crac finanziari ed il ripetersi di bolle speculative e, quindi, orientata al precipuo obiettivo di sostenere l’economia reale e a intraprendere tutte le iniziative necessarie per arrivare al più presto, insieme alle altre nazioni, alla convocazione di una conferenza internazionale a livello di Capi di Stato e di Governo, per definire globalmente un nuovo e più giusto sistema monetario e finanziario”. Oggi questo impegno è diventato inderogabile. E’ la sfida di una Nuova Frontiera cui anche il nostro Paese non si può sottrarre.

02/10/2007

Documento n.6843

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