Antitrust. Audizione Catricalà su legge di riforma del risparmio (10-10-2006)

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AUDIZIONE DEL PRESIDENTE DELL’AUTORITÀ GARANTE DELLA CONCORRENZA E DEL MERCATO, ANTONIO CATRICALÀ PRESSO LA COMMISSIONE FINANZE DEL SENATO DELLA REPUBBLICA NELL’AMBITO DELL’INDAGINE CONOSCITIVA SULLE QUESTIONI ATTINENTI ALL’ATTUAZIONE DELLA LEGGE 28 DICEMBRE 2005, N. 262, RECANTE “DISPOSIZIONI PER LA TUTELA DEL RISPARMIO E LA DISCIPLINA DEI MERCATI FINANZIARI”- ROMA, 10 OTTOBRE 2006. IL PRINCIPIO DELLA RIPARTIZIONE DEL CONTROLLO PER FINALITÀ E TRASFERIMENTO DEL CONTROLLO DI CONCORRENZA SULLE BANCHE ALL’AUTORITÀ GARANTE DELLA CONCORRENZA E DEL MERCATO: SIGNIFICATO E PRIMI INTERVENTI. La legge 28 dicembre 2005, n. 262 (di seguito la legge) approvata, come noto, in un breve lasso di tempo sull’onda degli scandali finanziari, è espressione dello sforzo di razionalizzare il sistema di vigilanza sui mercati finanziari. La legge è significativa soprattutto per il principio che pone in tema di riparto delle competenze tra le varie autorità di controllo e per le sue implicazioni. Viene, infatti, chiaramente delineata la preferenza per un sistema di vigilanza ripartito tra le varie amministrazioni sulla base delle finalità del controllo. La scelta di un simile criterio di ripartizione appare congrua in relazione allo stato attuale dello sviluppo dei mercati finanziari nel nostro Paese, nel quale i vari operatori, assicurazioni, banche e intermediari finanziari, non insistono più solo sui mercati originari, ma tendono a muoversi anche su altri tra loro contigui, offrendo prodotti e servizi di natura mista, in relazione a cui il sistema di controllo c.d. per soggetti si rivela insufficiente. D’altro canto, questa realtà impone una regolazione tendenzialmente omogenea per prodotti e servizi omogenei. La ripartizione per finalità delle competenze è, poi, coerente con la necessaria specializzazione di ogni singola Autorità in relazione all’interesse pubblico affidato alle proprie cure: altro è la stabilità patrimoniale e finanziaria, altro sono la correttezza e la trasparenza, altro è, infine, la tutela della concorrenza. Si tratta di ambiti di intervento peculiari, in relazione a cui esistono expertise assai differenziate. Particolarmente appropriato appare il criterio di riparto con riferimento alla tutela della concorrenza. Questa non solo è espressione di un interesse generale concettualmente diverso dagli altri, ma si realizza attraverso un’attività in senso stretto non regolatoria, che è di mera applicazione ai casi concreti di regole generali valide per tutti i mercati. Ecco perché con riferimento alla tutela della concorrenza, l’applicazione del criterio di riparto per finalità deve essere particolarmente rigoroso. Sotto questo profilo, è soddisfacente l’impianto della legge, che ha eliminato l’unica eccezione esistente alla generale competenza in materia antitrust attribuita all’Autorità garante della concorrenza e del mercato, quella appunto relativa alle imprese bancarie. In virtù dell’articolo 19, comma 11, della legge, l’Autorità è divenuta integralmente competente anche in questo settore nei confronti di ogni operatore bancario. Tale intervento legislativo risolve quella che ormai si presentava come un’anomalia storica nel panorama degli ordinamenti giuridici. L’ordinamento italiano, infatti, pur accogliendo in astratto il principio che la disciplina della concorrenza dovesse valere anche per il settore bancario, aveva ritenuto, in occasione dell’adozione della legge 10 ottobre, 1990, n. 287 - che poneva per la prima volta in Italia un’organica disciplina antitrust - che la competenza alla sua applicazione spettasse, non alla neo¬istituita Autorità garante, ma all’autorità di vigilanza del settore, cioè alla Banca d’Italia. Quest’ultima era evidentemente ritenuta più idonea, sulla base della convinzione che stabilità e concorrenza fossero esigenze tra loro tendenzialmente in contrapposizione e, dunque, da modulare nell’applicazione concreta della disciplina antitrust, dando particolare rilievo alla prima. La legge ha superato nettamente questa impostazione, affermando la piena ed incondizionata vigenza anche in questo settore delle generali regole di concorrenza, che devono essere applicate allo stesso modo che negli altri settori e mercati, in piena coerenza con l’ordinamento comunitario. In particolare, il processo di modernizzazione nella normativa antitrust comunitaria ha portato alla creazione dello European Competition Network (ECN) al quale partecipano, oltre alla Commissione europea, le Autorità Nazionali di Concorrenza, tra le quali l’AGCM: in questo quadro istituzionale il permanere della frammentazione delle competenze antitrust nel settore bancario sarebbe stato in evidente disarmonia e avrebbe compromesso l’efficacia dell’intervento. Viene, quindi, meno definitivamente, sotto questo profilo, la c.d. “specialità” del settore bancario. L’Autorità, in attuazione della legge, ha disposto immediatamente una modifica organizzativa interna istituendo una direzione appositamente competente sul settore del credito. Ciò, unitamente alla fattiva collaborazione con la Banca d’Italia, ha consentito che il passaggio delle competenze avvenisse tempestivamente e senza aggravi per le parti dei procedimenti in corso. In particolare, l’Autorità ha concluso nel luglio 2006, un procedimento1 (1 Provvedimento I 660 – CO.GE. BAN. – Multibanca, in Bollettino n. 26/2006. ) di inottemperanza già iniziato dalla Banca d’Italia nel settembre 2005. In attuazione delle nuove competenze, sono state aperte altre due istruttorie, attualmente in corso. La prima2, (Provvedimento I 661 – Accordi Interbancari “ABI –CO.GE.BAN”, in Bollettino dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato (di seguito Bollettino) n.12/2006. ) avviata in data 29 marzo 2006, ha ad oggetto gli accordi interbancari, predisposti dall’Associazione Bancaria Italiana, relativi ai servizi di incasso di credito RiBa (Ricevuta Bancaria Elettronica) e RID (Rapporti Interbancari Diretti) e gli accordi predisposti in seno all’associazione Convenzione per la gestione del Marchio Bancomat, relativi al servizio di prelievo di contante presso gli sportelli bancari automatici (ATM). La seconda3,( 3 Provvedimento I 675 – ABI/Modifica unilaterale delle condizioni contrattuali, in Bollettino n.35-36/2006.) avviata in data 14 settembre 2006, e relativa alla Circolare ABI relativa all’art.10 della legge n.248/06. Nell’ambito di tale procedura, l’Autorità ha ritenuto di esercitare d’ufficio il potere cautelare, ordinando alla predetta Associazione di sospendere le indicazioni contenute nella citata circolare, in quanto ritenute idonee ad orientare il comportamento delle imprese in senso restrittivo della concorrenza. Allo scopo di accertare le reali dinamiche concorrenziali sussistenti nel settore, con particolare riferimento ai comportamenti delle banche nei confronti dei singoli consumatori, è stata inoltre avviata un’indagine conoscitiva4 (4 Provvedimento IC32 “Indagine conoscitiva riguardante i prezzi ala clientela dei servizi bancari” in Bollettino n 1/2006.) che ha come oggetto l’analisi dei fattori strutturali e comportamentali che caratterizzano i diversi mercati compresi nel settore dei servizi bancari in senso lato. In tale indagine, è stata fatta confluire anche una precedente indagine conoscitiva5 (5 Cfr. IC25 “Ostacoli alla mobilità della clientela nei servizi di intermediazione finanziaria”, in Boll. n. 47/2004, unificata nell’indagine IC32 citata, con provvedimento pubblicato in Boll. n. 5/2006.) avviata dall’Autorità sui settori finanziari per i quali la stessa era competente precedentemente al gennaio 2006. Dall’entrata in vigore della legge, l’Autorità ha valutato cinque operazioni di concentrazione relative a mercati strettamente bancari, deliberando sempre il non avvio dell’istruttoria. Inoltre, l’Autorità, a fronte della riscontrata sussistenza di problematiche concorrenziali conseguenti alle modalità con cui la generalità delle banche applica la disciplina in materia di ius variandi nei contratti bancari, in data 5 maggio 2006, ha ritenuto necessario segnalare6, (6 AS 338 in Bollettino n.19/2006. ) ai sensi degli artt. 21 e 22 della legge n. 287/90, le distorsioni della concorrenza e del corretto funzionamento del mercato derivanti dalla normativa costituita in particolare dall’articolo 118 del d.lgs 1 settembre 1993, n. 385, recante Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia (TUB) e dalla parte attuativa del suddetto articolo contenuta nella delibera del Comitato Interministeriale del Credito e del Risparmio (CICR) del 4 marzo 2003, recante Disciplina della trasparenza delle condizioni contrattuali delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari. In particolare si è rilevato che la normativa citata prevedeva a favore delle banche un diritto di modifica unilaterale delle condizioni contrattuali, senza ancorarlo alla sussistenza di un giustificato motivo. Inoltre era previsto che le variazioni sfavorevoli fossero comunicate alla clientela attraverso annunci generalizzati sulla G.U., con possibilità di recesso da esercitarsi nel ristretto limite temporale di quindici giorni dalla pubblicazione della stessa. In questa situazione, si è rilevato, il cliente bancario è soggetto ad una modifica incontrollabile delle condizioni contrattuali in corso di rapporto e non è nella condizione di poter scegliere il proprio fornitore con la piena conoscenza delle caratteristiche e dei costi del servizio, anche in confronto con la corrispondente offerta di altri operatori del mercato. Tale situazione evidentemente accresceva gli ostacoli alla mobilità della clientela tra i diversi soggetti, contribuendo ad ingessare il mercato e a ridurre lo stimolo competitivo. La presenza di ostacoli alla mobilità della clientela attenua, infatti, il grado di sostituibilità tra i prodotti offerti da operatori concorrenti, riducendo per tal verso l’elasticità della domanda dei consumatori al prezzo ed innalzando le barriere all’ingresso per i potenziali entranti. L’Autorità concludeva, dunque, che le disposizioni in questione producevano l’effetto di favorire il mantenimento di una situazione di mercato nella quale le banche detengono un potere di mercato tale da poter praticare condizioni di offerta peggiori di quelle che si realizzerebbero in presenza di una dinamica competitiva. La descritta segnalazione ha trovato un positivo riscontro all’art.10 della legge 4 agosto 2006, n. 248, che stabilisce una più adeguata disciplina delle variazioni delle condizioni contrattuali nel rapporto banca-cliente. Infine, l’Autorità ha avviato, in data 14 settembre 2006, un’istruttoria7 (7 Provvedimento I 675 ABI/Modifica unilaterale delle condizioni contrattuali, in Bollettino 35-36/2006. ) nei confronti dell’ABI avente ad oggetto la circolare dell’associazione del 7 agosto 2006, serie legale n.23, finalizzata a fornire, come detto nel testo “un primo commento” proprio sul citato art.10 della legge n. 248/2006. L’Autorità ha ritenuto che tale circolare non si era limitata a fornire chiarimenti, ma proponeva una lettura che specificava l’ambito e le modalità applicative della legge, orientando in senso restrittivo il comportamento alle banche associate. A prescindere dalla natura vincolante o meno della circolare, questa è stata ritenuta comunque idonea ad influenzare il comportamento degli operatori, costituendo un comune punto di riferimento che uniformando aspetti delle strategie commerciali, può ridurre il livello di incertezza circa il comportamento dei concorrenti sul mercato. Deve essere lasciato all’autonomia dei singoli operatori bancari individuare, in applicazione della legge, la strategia commerciale che si ritiene più conveniente, senza che l’associazione di categoria detti una linea uniforme. In questo modo, naturalmente non si vuole certo negare il ruolo di supporto nella comprensione delle normative rilevanti che l’associazione può offrire alle banche. Si vuole solo riaffermare, nel caso specifico, una regola generale e indiscussa del diritto della concorrenza che vieta alle associazioni di imprese di coordinare le politiche commerciali delle associate. Quando la normativa si presta a più letture che possono incidere direttamente sulle scelte di mercato delle imprese e non si siano ancora formati orientamenti giurisprudenziali univoci, l’attività di supporto interpretativo dell’associazione, in osservanza del principio di concorrenza, deve lasciare all’autonomia delle singole imprese sciogliere il dubbio nei concreti comportamenti sul mercato. Per evitare che la citata circolare potesse conseguire l’effetto restrittivo indicato sui comportamenti delle banche, l’Autorità ha, d’ufficio, cautelarmene ordinato all’ABI di sospendere le indicazioni in essa contenute. L’Associazione bancaria ha ottemperato all’ordine. LE CONCENTRAZIONI NEL SETTORE BANCARIO: LA DISCIPLINA PROCEDURALE, LA QUESTIONE DELL’“ATTO UNICO”, IL RILIEVO ANTITRUST DELLE PARTECIPAZIONI DI MINORANZA E LE INNOVAZIONI PREFIGURATE DALLO SCHEMA DI DECRETO LEGISLATIVO DI ATTUAZIONE DELLA DELEGA CONTENUTA ALL’ART. 43 DELLA LEGGE 28 DICEMBRE 2005, N. 262. Il previgente assetto normativo aveva mostrato in modo estremamente evidente i suoi limiti applicativi proprio nell’esame delle concentrazioni: una stessa concentrazione, pur di importanza marginale, era soggetta al vaglio della Banca d’Italia, previo parere dell’Autorità, per quanto riguarda i mercati strettamente bancari e al vaglio dell’Autorità, in sede deliberante, per tutti gli altri mercati8 (Sulla ripartizione di competenze tra l’Autorità e la Banca d’Italia cfr. la sentenza del Consiglio di Stato n. 5640/2002 Generali Unicredito. ). Un sistema dunque caratterizzato da un’inutile duplicazione di interventi antitrust. Il trasferimento delle competenze all’Autorità garante supera queste inefficienze. Tuttavia, attesa la peculiare disciplina stabilita dai commi 12 e 13 dell’art.19 della legge • che prevede che sulle fattispecie acquisitive di partecipazione nelle banche vi sia il vaglio dell’Autorità, per i profili di concorrenza, e della Banca d’Italia, per i profili di sana e prudente gestione - sussistono alcune perplessità interpretative in relazione all’ampiezza dell’ambito del controllo dell’Autorità e della Banca d’Italia. In particolare, la lettera della legge fa ritenere che la vigilanza antitrust dell’Autorità garante debba estendersi anche alle acquisizioni di partecipazioni bancarie che non integrano il controllo, in senso antitrust, della banca stessa, mentre negli altri settori la vigilanza è limitata alle sole acquisizioni idonee a conferire il controllo. Quest’ultima interpretazione è stata da alcuni ritenuta più coerente con la logica del controllo di concorrenza sulle operazioni di concentrazione, per il quale hanno rilievo tendenzialmente solo gli acquisti che possono dare luogo ad un mutamento nei rapporti di direzione effettiva delle imprese sul mercato. Con ciò non si vuole certo affermare, che per la vigilanza antitrust siano del tutto irrilevanti le partecipazioni azionarie, anche di minoranza ed eventualmente anche inferiori al 5%, e gli incroci di partecipazioni. Queste forme di collegamento tra imprese, infatti, possono integrare, unitamente ad altre evidenze che eventualmente emergano nelle singole fattispecie concrete, i presupposti per asseverare l’esistenza di un controllo di fatto oppure possono essere considerati di per sé gli indici rilevatori di un contesto nel quale la tensione concorrenziale subisce un affievolimento, per l’instaurarsi equilibri collusivi allo stato diffuso. Tali scenari rientrano pienamente nell’ambito di competenza di questa Autorità e costituiscono anzi un oggetto di analisi particolarmente importante, atteso l’assetto del capitale di molte imprese che operano nei mercati finanziari del nostro Paese. Tuttavia, è apparso a taluni incongruo che l’acquisto di partecipazioni di minoranza non acquisitive del controllo sia sottoposto ad un sistematico scrutinio dell’Autorità il cui esito non potrebbe che essere tendenzialmente positivo. In aggiunta alle descritte difficoltà ermeneutiche, la nuova disciplina comporta alcune difficoltà di tipo procedurale. Essa dispone che per le operazioni che richiedono contestualmente l’autorizzazione, ai fini della tutela della sana e prudente gestione, di cui all’art. 19 del d.lgs. 385/1993 TUB e l’autorizzazione ai fini della tutela della concorrenza di cui all’art. 6 della legge n. 287/90 è necessario che i distinti provvedimenti delle due Autorità siano emanati con un “atto unico” da cui devono risultare “le specifiche motivazioni relative alle finalità attribuite alle due Autorità”. Fino ad oggi, sono stati chiusi due procedimenti in applicazione della disposizione richiamata9.( 9 Procedimento C7669, pubblicato in Bollettino n. 27/2006; C7934, in corso di pubblicazione. ). Ora, si deve osservare che da un punto di vista sostanziale, non appare chiara la funzione di questo atto unico, posto che è evidente nel testo della legge che le valutazioni delle due Autorità debbano restare distinte ed autonome. Tale conclusione è del resto pienamente in linea con i lavori parlamentari da cui emerge che l’atto unico presuppone un provvedimento congiunto “nel cui ambito le valutazioni di sana e prudente gestione rimarrebbero affidate alla Banca d’Italia, mentre quelle relative all’assetto concorrenziale del mercato verrebbero svolte dall’autorità Antitrust”10. (10 Cfr. ad esempio gli atti del Senato della Repubblica 931 seduta (23 dicembre 2005) “Integrazione alla relazione orale del relatore Eufemi sul disegno di legge n. 3328-B”. ). Nello stesso senso vanno le considerazioni della BCE che, proprio con riferimento alle nuove disposizioni della legge, ha evidenziato che “mentre il coordinamento tra autorità è essenziale al fine di evitare un quadro oltremodo complesso per gli enti soggetti a vigilanza, è opportuno mantenere una chiara distinzione tra le procedure relative alla concorrenza e le decisioni in materia di vigilanza bancaria”11. (11 Parere della Banca Centrale Europea del 23 dicembre 2005 su richiesta del Ministero italiano dell’Economia e delle Finanze in merita a un modifica del disegno di legge recante interventi per la tutela del risparmio concernente la Banca d’Italia. ) D’altro canto simile impostazione appare del tutto ragionevole se ci si sofferma sulla circostanza che le finalità e il tipo di analisi sottostante alle due valutazioni sono, come detto, molto diverse: la tutela della stabilità impone di esaminare gli effetti dell’operazione all’interno del nuovo gruppo da un punto di vista dell’adeguatezza patrimoniale; la tutela della concorrenza esige di valutare il più ampio contesto degli assetti concorrenziali dei mercati interessati, con un’indagine che esamina soprattutto la presenza e il ruolo specifico di altri operatori. L’atto unico, dunque, non può rappresentare una co-decisione nella quale possano eventualmente fondersi le valutazioni di stabilità con quelle della concorrenza, quanto piuttosto un documento unitario che contiene due provvedimenti, tra loro funzionalmente distinti ed adottati da soggetti diversi. Se l’atto unico non sembra avere alcuna funzione sostanziale, esso può, come detto, determinare nel concreto inutili aggravi procedimentali, senza alcun vantaggio per le imprese. Infatti, proprio in ragione della circostanza che le valutazioni della Banca di Italia e dell’Autorità presuppongono attività istruttorie non coincidenti e seguono regole procedurali diverse12, (12 Per l’Autorità rileva la legge n. 287/90 e il D.P.R. n. 217/98; soltanto in funzione sussidiaria e integrativa, trova applicazione legge n. 241/90. La Banca d’ Italia invece applica il complesso normativo di cui al d.lgs. 385/93, la legge n. 241/90 nonché le Istruzioni di Vigilanza. ) non è agevole coordinare lo svolgimento dei distinti procedimenti nel rispetto del termine di 60 gg.. Si pensi, ad esempio, al problema del momento da cui decorre il termine previsto dall’art. 19, comma 13, nel caso in cui le comunicazioni alle due istituzioni avvengano in giorni diversi, oppure alle cause di sospensione e/o interruzione dei procedimenti dell’Autorità e della Banca d’Italia che possono non coincidere. Ciò inevitabilmente può portare ad uno slittamento dell’emanazione dell’atto unico, a svantaggio delle esigenze delle imprese. Queste discrasie procedimentali rischiano di compromettere seriamente la possibilità che l’atto unico costituisca una “semplificazione” dell’azione amministrativa e generano incertezza sui tempi del procedimento. Sia sulla difficoltà interpretativa, che su quella procedimentale inciderà il decreto legislativo di coordinamento, adottato ai sensi dell’art. 43 della legge, che codesta Commissione si appresta ad esaminare. Modificando l’attuale comma 5 dell’art. 20 della legge 10 ottobre 1990, n. 287, si introduce una nuova disciplina delle operazioni di concentrazioni, in relazione alle quali è necessario sia il vaglio antitrust che quello relativo alla sana e prudente gestione. In particolare, si stabilisce chiaramente che sono soggette al vaglio antitrust esclusivamente le acquisizioni di controllo che costituiscono concentrazione, ai sensi della disciplina della concorrenza, e si abolisce l’atto unico. Il termine per il procedimento, a garanzia di una pronta decisione nel rispetto delle esigenze del mercato, resta di sessanta giorni dal momento in cui l’autorità decidente dispone di tutta la documentazione occorrente. Tale esito giunge a conclusione di un positivo confronto tecnico tra le Autorità interessate ed il Ministero dell’Economia, nell’ambito della Commissione presieduta dal Vice Ministro On. Pinza. Naturalmente l’abolizione dell’atto unico non significa certo la fine della collaborazione tra le autorità, che resterà sempre stretta e leale, come è stato fino ad ora e come è esplicitamente auspicato dalla stessa legge. LE CONCENTRAZIONI NEL SETTORE BANCARIO: LA QUESTIONE DELLA DIMENSIONE EFFICIENTE, LA TUTELA DELLA CONCORRENZA ED I RIFLESSI SULL’OCCUPAZIONE. Nonostante negli ultimi dieci anni si sia assistito ad importanti aggregazioni nel settore bancario, da più parti si è osservato che vi è ancora spazio per l’ulteriore crescita degli operatori. L’Autorità non intende ostacolare il raggiungimento di dimensioni efficienti che consentano di alimentare un reale confronto competitivo tra gli operatori che residuano, con vantaggio diretto per l’interesse dei consumatori. Tale crescita può avvenire sia attraverso il consolidamento di operatori nazionali, sia attraverso l’entrata od il rafforzamento della presenza di operatori esteri. Su quest’ultimo punto, nel recente passato si è registrato un acceso dibattito tra chi sostiene la necessità di una difesa dell’italianità delle banche e chi invece ritiene che le aggregazioni vadano decise secondo puri criteri di mercato. Questa Autorità non può che rilevare che, da un punto di vista antitrust, è assolutamente irrilevante la nazionalità dell’operatore, posto che la valutazione dell’operazione è volta a verificare eventuali effetti di sovrapposizione nelle attività delle imprese interessate e l’eventuale originarsi di assetti strutturali che possano costituire un ostacolo al processo concorrenziale. Inoltre, per sua natura l’attività bancaria non si presta a forme di delocalizzazione che potrebbero essere temute per i connessi problemi occupazionali: lo straniero che vuol fare l’attività bancaria in Italia deve necessariamente continuare ad essere radicato nel territorio. Allo stesso modo, si è sostenuto che presunti problemi occupazionali potrebbero derivare da eventuali decisioni dell’Autorità di ordinare la dismissione di sportelli bancari. Sul punto devo osservare che la legge attribuisce all’Autorità garante della concorrenza la competenza, e dunque il dovere, quando riscontri il costituirsi o il rafforzarsi di una pozione dominante sul mercato, o di vietare tout court l’operazione o, eventualmente, di imporre le misure necessarie ad impedire tali conseguenze. In quest’ultimo caso, con riferimento al settore bancario, potrà certo darsi l’eventualità che si prescriva ad un operatore bancario di dismettere alcuni sportelli in certe zone. Tuttavia, tali dismissioni non significano certo chiusura degli stessi, bensì trasferimento ad un concorrente, sul presupposto che li mantenga proprio per alimentare la competizione, che rischia di essere attenuata dall’operazione. LE ALTRE INNOVAZIONI PREFIGURATE DAL TESTO DELLO SCHEMA DI DECRETO LEGISLATIVO DI ATTUAZIONE DELLA DELEGA CONTENUTA ALL’ART. 43 DELLA LEGGE: LE DEROGHE ALL’APPLICAZIONE DELLA DISCIPLINA ANTITRUST, LA SOSPENSIONE DEI TERMINI DURANTE LA FASE CONSULTIVA, IL CICR. Si ritiene opportuno svolgere alcune considerazioni anche su altre importanti innovazioni prefigurate dallo schema di decreto legislativo in parola. In primo luogo, va segnalata la disciplina delle deroghe all’applicazione diritto della concorrenza in relazione ad esigenze di funzionalità del sistema dei pagamenti e di stabilità. In particolare, all’art. 20 della legge n. 287/90 si prevede l’inserimento dei commi 5bis e 5ter. Tali nuove disposizioni stabiliscono che l’Autorità garante della concorrenza, su richiesta della Banca d’Italia, potrà autorizzare un’intesa in deroga al divieto di cui all’art. 2 della legge n. 287/90, per esigenze di funzionalità del sistema dei pagamenti. Tale autorizzazione dovrà comunque essere per un tempo limitato e potrà essere concessa soltanto alle condizioni e nei limiti stabiliti dall’art. 4, comma 1 della legge n. 287/90. Inoltre, sempre su richiesta della Banca d’Italia, l’Autorità garante della concorrenza potrà autorizzare operazioni di concentrazione che riguardano banche, anche nel caso in cui determinino o rafforzino una posizione dominante, quando ciò sia necessario per esigenze di stabilità di uno o più dei soggetti coinvolti. Entrambi i tipi di autorizzazioni, se concesse, non potranno mai consentire restrizioni che non siano strettamente necessarie al perseguimento delle finalità di stabilità o di funzionalità del sistema dei pagamenti, sopra ricordate. La legge, come accennato, ha affermato il principio della equi-ordinazione delle varie finalità di controllo, in particolare per ciò che rileva, tra le esigenze di stabilità e le esigenze di concorrenza. Ciò deriva direttamente dall’attribuzione all’Autorità garante della piena competenza in materia di antitrust sulle banche e dalla disciplina in tema di vigilanza sulle acquisizioni di partecipazioni di controllo, sul punto non modificata dallo schema di decreto legislativo, che chiaramente stabilisce che affinché un’operazione di acquisizione del controllo di banche possa avere corso deve risultare indenne sia ai controlli di sana e prudente gestione sia ai controlli antitrust. Alla luce dell’affermazione di questo principio, le nuove disposizioni sopra illustrate si presentano come deroghe di carattere eccezionale all’applicazione del diritto nazionale della concorrenza, che comunque spetterà all’Autorità garante valutare e sagomare nei singoli casi concreti. Intesa in questo senso, l’innovazione prefigurata si presenta utile perché disciplina in modo sufficientemente compiuto tutti gli aspetti della deroga. In secondo luogo, si deve segnalare un’importante razionalizzazione della procedura consultiva con riferimento al parere ISVAP. Si prevede, infatti, esplicitamente che il decorso del termine del procedimento, per il quale il parere viene richiesto, è sospeso fino al ricevimento, da parte dell’Autorità garante del parere o, comunque, fino allo spirare del termine previsto per la pronuncia dello stesso. E’ un’utile precisazione di un principio probabilmente già desumibile in via interpretativa nel vigente sistema. Infine, merita segnalare la prevista formalizzazione della possibilità per il Presidente del CICR di invitare i presidenti delle Autorità competenti a prendere parte alle riunioni in cui vengono trattati argomenti, attinenti a materie loro attribuite dalla legge, connessi a profili di stabilità complessiva, trasparenza ed efficienza del sistema finanziario. Mantenuta in questi termini, l’eventuale partecipazione dell’Autorità garante della concorrenza appare coerente con le sue competenze e con la sua posizione istituzionale e può costituire un canale informativo importante. Ad esempio, proprio in sede CICR avevo sollevato il problema dello ius variandi nei contratti tra banche e clienti, che si sarebbe potuto risolvere senza un intervento legislativo, con la modifica di una precedente delibera dello stesso Comitato interministeriale. Una più stabile presenza nel Comitato, invece, non sarebbe giustificata dal tipo di competenze che l’Autorità esercita che, vale la pena ribadire, si sostanziano nell’applicazione delle generali discipline antitrust nazionale e comunitaria ai singoli casi concreti e non nell’esercizio di poteri regolatori o di vigilanza in senso stretto sull’attività di singole categorie di operatori economici.
LA TRASPARENZA NEI MERCATI FINANZIARI E LA DISCIPLINA DEL CONFLITTO DI INTERESSI. In termini antitrust, la trasparenza assolve un ruolo essenziale per le dinamiche competitive dei mercati poiché riduce le asimmetrie informative tra il lato dell’offerta e quello della domanda. Per altro verso, le carenze in materia di trasparenza si risolvono in un aumento del potere di mercato di cui le imprese possono avvantaggiarsi attestandosi su una qualità del servizio offerto inferiore a quella altrimenti richiesta. La scarsa trasparenza, infatti, si traduce nell’impossibilità da parte del consumatore di scegliere consapevolmente tra le offerte sul mercato, nonché di monitorare nel corso del rapporto la effettiva qualità del servizio offerto. Nel caso dei servizi finanziari, questi profili acquistano una rilevanza accentuata rispetto ad altri settori in ragione della complessità dei servizi offerti e, della natura, entro certi limiti, fiduciaria che li caratterizza. In particolare, la trasparenza dei mercati finanziari per dispiegare positivamente i suoi effetti, deve poggiare su un’informazione completa ma nel contempo chiara. Tale informativa deve avere ad oggetto, in particolare, le fondamentali variabili concorrenziali che guidano all’investitore nella scelta dei servizi finanziari, ovvero il rischio, il rendimento e il costo del prodotto e/o servizio. Inoltre, come sarà ricordato anche nel seguito, tanto più queste caratteristiche sono agevolmente confrontabili tra servizi offerti da soggetti anche di natura diversa (ad esempio tra banche, imprese di assicurazioni e società di gestione del risparmio), nei limiti in cui tra questi servizi vi sia un certo grado di sostituibilità per i consumatori, tanto maggiore risulta la pressione competitiva che le imprese offerenti subiranno. Per altro profilo, la trasparenza deve essere effettiva sia nel momento in cui il consumatore effettua la scelta di investimento sia in corso di svolgimento del rapporto. Solo se la trasparenza è effettiva anche in quest’ultimo caso, il consumatore può dimostrare la sua eventuale insoddisfazione nei confronti dell’intermediario e innescare nuovi processi di ricerca. In quest’ambito rileva, dunque, l’informativa resa pubblica dagli intermediari all’investitori sui prodotti e servizi offerti, il contratto e la documentazione ivi allegata, l’informativa comunicata in corso di contratto. L’Autorità aveva, dunque, auspicato, durante l’iter di approvazione della legge che vi potesse essere un ulteriore rafforzamento della normativa vigente per i profili sopra evidenziati, soprattutto nella prospettiva di un approccio normativo, almeno parzialmente, uniforme per servizi e prodotti offerti da soggetti di natura diversa. La legge avrebbe dovuto indicare i profili generali che l’informativa data alla clientela deve rispettare in termini di chiarezza, completezza e tempestività. Tali principi avrebbero poi dovuto essere attuati in sede di vigilanza regolamentare, che meglio si presta alla tematica, con modalità omogenee a prescindere dalla tipologia di impresa offerente e nei limiti consentiti dalle specificità dei servizi. In particolare, si auspicava che venisse introdotta una specifica disposizione nel T.U.F. volta a stabilire in termini generali il principio secondo il quale: • l’informativa resa disponibile al pubblico, il contratto e l’informativa rilasciata alla clientela in corso di contratto devono essere chiari, tempestivi e completi. In essi, devono risultare in evidenza le condizioni economiche, i profili di rischio e le prospettive di rendimento; • nei limiti delle specificità di ciascun servizio, la documentazione sopra richiamata deve essere redatta con criteri omogenei con riferimento ai servizi di investimento, ai servizi accessori, servizi di gestione collettiva di risparmio, servizi di intermediazione finanziaria, fondi pensione, servizi bancari e servizi assicurativi. Tali criteri devono essere raccordati altresì con il contenuto dei prospetti informativi di cui agli articolo 94 e ss. del T.U.F.; • in corso di contratto, l’investitore deve essere messo nelle condizioni di verificare agevolmente l’andamento dell’investimento effettuato, anche attraverso un’informativa adeguata; • l’informativa rilasciata in corso di contratto dovrebbe essere anche funzionale a consentire il tempestivo esercizio della facoltà di recesso rispetto all’oggetto dell’informativa. Simile auspicio non ha trovato puntuale seguito. La legge ha certamente avviato un processo di maggiore uniformità nelle informazioni da comunicare alla clientela, però la via verso una comunicazione effettivamente trasparente e semplice è ancora lunga e molto dipenderà dall’accortezza della vigilanza regolamentare. Per quanto riguarda il problema del conflitto di interessi, si deve rilevare che si è persa una buona occasione, facendo decorrere inutilmente il termine entro il quale adottare i decreti di attuazione previsti dall’art. 9 della legge. Un’adeguata soluzione a tali problematiche, con riferimento ai mercati degli strumenti finanziari, potrà derivare da una pronta ed accorta attuazione della direttiva 2004/39/CE, meglio conosciuta come direttiva “Mifid” (Market in financial instruments directive), e degli strumenti attuativi, specialmente nelle parti relative alle tutele per gli investitori e in materia di conflitto di interessi, con l’attenzione di recepirne solo i principi realmente garantisti.

13/10/2006

Documento n.6363

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